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Zampetti, storico e propugnatore della partecipazione

di Danilo Veneruso

Discorso in occasione della commemorazione funebre di Pier Luigi Zampetti

                                                 

Pier Luigi Zampetti, che stasera ricordiamo nel compianto, nel dolore ed insieme nella speranza di ritrovarlo nella Comunione dei Santi, ha lasciato un ricco, fecondo, vario e prezioso patrimonio di ricerche, di studi, di riflessioni e di stimoli alle riflessioni,  di suggerimenti, di indicazioni anche e direi soprattutto di lungo periodo. La sua attività di docente e di uomo di alta cultura si è espressa in saggi, contributi, relazioni e interventi per convegni, seminari, giornate di studio che, pubblicati e diffusi direttamente, o indirettamente per traduzioni, spesso con tirature da best- seller, hanno fatto il giro del mondo. Egli si è espresso altrettanto volentieri in colloqui, in conversazioni private o di gruppo anche con coloro che non erano in testa alle graduatorie gerarchiche della società, con particolare preferenza per i giovani, che tanto ha considerato e  rispettato da voler continuare a spezzare con loro il pane della scienza, gratiis et amore Dei, amandoli fino alla fine, perfino oltre i limiti di un’età che cominciava a diventare gravosa. La sua vita intellettuale e morale è trascorsa per oltre mezzo secolo non soltanto nelle aule delle università di Trieste, dove ha fondato la Facoltà di Scienze Politiche ed ha ricoperto l’incarico di preside, di Milano, e poi di Genova, dove ha passato il suo periodo più fecondo, ma anche in altre sedi di cultura e di azione nazionali e internazionali dove si decidono i destini di popoli e di Stati. Nel 1981 è stato eletto dal Parlamento membro del Consiglio Superiore della Magistratura, in cui è stato presidente della Commissione speciale per la riforma giudiziaria e l’amministrazione della giustizia e, nel 1994 è stato nominato da Giovanni Paolo II membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali appena istituito. E’ stato anche membro dell’Accademia Nazionale di Diritto e Scienze Sociali di Cordoba in Argentina.

                                        

Pier Luigi Zampetti ha posseduto uno spiccato senso della collocazione nella storia. La sua persona può essere assimilata ad una sfera illuminata dalla ragione, da un’intelligenza aperta e capace di spaziare per ampi orizzonti, infuocata dall’amore ardente per la scienza e per la vita personale e sociale dell’uomo e attraversata dal filo rosso della storia che lo ha reso capace non soltanto di una presenza vigile ed attiva, ma anche di molteplici collegamenti con gli altri.  La sfera di vita dell’uomo Pier Luigi Zampetti non è stata infatti la sfera isolata dell’individuo che spreca il tesoro delle sue potenzialità nella difficoltà di pensare e di amare. Essa è stata viceversa attraversata da grande capacità di uscire da stessa per collegarsi con le persone, con la gente, con la natura, con Dio. Studioso di rara virtù, possedeva infatti il dono di comprendere, parlare e scrivere anche per la gente comune, come dimostra i volumi che egli ha scritto su Il Vangelo di mia mamma, pubblicato da Rusconi nel 1985, premiato dalla selezione Bancarella e, soprattutto, da una diffusione così larga da giungere, al momento attuale, all’ottava edizione, e sulla Profezia si Fatima, scritto nel 1990 per la casa editrice milanese Rusconi, giunto finora alla quarta edizione.  Così, ogni componente, ogni parte anche apparentemente minuta del patrimonio di Pierluigi Zampetti è stata area di reciproca relazionalità dove la specialità e la tecnicità delle diverse discipline che egli sapeva individuare, all’occorrenza, con precisione e rigore di metodo sono state intrecciate con costante tendenza alla convergenza, per cui le sue lezioni, orali o per iscritto, traboccavano di conoscenze teologiche, filosofiche, economiche, politiche e sociali.

                                   

Pier Luigi Zampetti non è stato soltanto nella storia, è stato anche della storia: tutta la sua produzione può infatti considerarsi storiografica, anche se non filologica nel senso tecnico del termine, con completezza bibliografica con note di parecchi centimetri a pié di pagina. Come dicono i tedeschi che distinguono semanticamente le due funzioni, in lui c’era non soltanto Geschichte, capacità di essere cosciente nel mondo, ma anche Historiographie, capacità di scrivere ciò che in esso vi accade. Egli non è stato storico di professione: in questo senso, ha appartenuto alla “repubblica” non degli storici, bensì degli studiosi di filosofia e di scienza della politica, della dottrina dello Stato, della politologia e della sociologia, della scienza della società. Tuttavia alla storiografia ha appartenuto in altro modo, cioè a quel senso della storia di cui era dotato per origine, per educazione, per riflessione. E’ tipico dello storico di razza, e non semplicemente di erudizione, studiare eventi, correnti e movimenti anche remoti nel tempo in rapporto ai tempi, e dunque agli interessi, ai gusti, alla mentalità del tempo in cui egli vive. Pertanto la sua vasta produzione appare chiaramente e visibilmente scaglionata lungo il tempo in cui egli ha vissuto ed ha studiato. 

                        

Pier Luigi Zampetti, quale studioso della forme sociali e morali della modernità, è partito dai suoi inizi, vale a dire dalla crisi della medioevale Sancta Romana Respublica. Tale crisi è scaturita dall’incapacità di una delle tante incarnazioni storiche della bimillenaria vita del cristianesimo di porre nei termini corretti, vale a dire effettivamente attuati e non soltanto astrattamente enunciati, le potenzialità di collegamento e di convergenza, e pertanto di pace, di solidarietà, di collaborazione attiva, in una parola di partecipazione i molteplici elementi di cui si compone la società. Acuti sono infatti i giudizi che Pierluigi Zampetti ha dedicato, in uno dei suoi primi saggi, alle posizioni di Marsilio da Padova, il filosofo trecentesco della politica, al di là del quale si trova ormai la consapevolezza storica della crisi della “cristianità” e quindi della necessità di cambiar strada. A partire da questo tempo a quella che è stata la Sancta Romana Respublica si presentano allora tre possibilità:  

 - percorrere con maggiore coerenza la via della dialettica della mediazione in cui la fittissima rete delle possibilità relazionali dell’uomo siano orientate alla pace, alla solidarietà, alla partecipazione;

 - consentire l’unità sociale mediante una sorte di “pace coatta”, imposta ai cittadini, diventati sudditi, da prìncipi che se ne servono per perseguire i propri, crescenti obiettivi di potenza in una condizione di un altrettanto crescente assolutismo;

 - imboccare un’altra strada, adombrata dal Machiavelli e poi delineata dai sostenitori di una politica sempre più lontana dai princìpi del cristianesimo, in cui i valori della pace e della solidarietà, interna o internazionale, rivelatisi   irrealizzabili, sono messi da parte oppure riservati alla sola sfera interna o, in alternativa, internazionale, ma solo con l’obiettivo della guerra permanente in uno o nell’altro di questi settori.    

                                

Dal punto di partenza dell’origine di quella che viene definita come “modernità”  e dalla collocazione storica dell’autore, si snoda allora la lunga serie delle sue pubblicazioni di cui si citano soltanto le principali: Il problema della conoscenza giuridica, Milano, Giuffré, 1953; Metafisica e scienza del diritto nel Kelsen, Milano, Giuffré, 1956; Il problema della giustizia nel protestantesimo tedesco contemporaneo, Milano, Giuffré, 1962; Dallo Stato liberale allo Stato dei partiti. La rappresentanza politica (Milano, Giuffré, 1965); Il finalismo nel diritto. Verso una concezione personalistica dell’ordinalmento giuridico, Milano, Giuffré, 1968; Democrazia e potere dei partiti, Milano, Rizzoli, 1969; La partecipazione popolare al potere. Una nuova alternativa al capitalismo e al socialismo, Milano, Mursia, 1976; La società partecipativa, Roma, Dino, 1981; L’uomo e il vavoro nella nuova società, Milano, Rusconi, 1983; La sfida del Duemila, Milano, Rusconi, 1988; La sovranità della famiglia e lo Stato delle autonomie. Un nuovo modello di sviluppo, Milano, Rusconi, 1996; Partecipazione e democrazia completa. La nuova vera via, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002 fino ad arrivare all’ultimo che tutti suggella quale vero e proprio testamento religioso, intellettuale e morale, La dottrina sociale della Chiesa. Per la salvezza dell’uomo e del pianeta, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2003.

                                                              

Come si può vedere, la cronologia delle sue opere è sufficiente a rivelare con chiarezza il suo metodo: fondazione teologica e filosofica per comprendere le mentalità, vastità e pluralità delle scienze per comprendere i contenuti, il valore, la diffusione e l’efficacia (diritto, economia, scienza della politica e della società, storiografia), attenzione al contesto storico, esame critico delle soluzioni storicamente adottate e, infine, presentazione argomentata di prospettive di soluzione, di integrazione, di sviluppo o di superamento. Così, nel suo interesse per i vari fenomeni e per le varie forme della vita associata, non si limita a studiarne la storia e suoi contenuti, cerca di individuarne le possibilità di sviluppo: pertanto, dietro alla situazione presente, egli riesce ad individuarne i motivi e i modi delle sue potenzialità, della sua evoluzione e del suo superamento. Così, nello spettro cronologico delle sue pubblicazioni si trovano prima la fondazione filosofica e giuridica dei fenomeni della vita associata in generale, quindi l’analisi della genesi e dei contenuti dello Stato e poi dei partiti particolarmente della società italiana. Così, dopo il 1968, dopo la crisi contestuale dell’uno e degli altri, possono emergere non già nell’astrattezza di problemi possibili, ma nella concretezza della storia vissuta, i tempi, i modi e i contenuti della partecipazione. Proprio la sua capacità di collocare storicamente un fatto o un evento e di presentarne criticamente le prospettive di soluzione, di integrazione, di sviluppo o di superamento spiega come le sue origine ideali e storiche confluiscano, dopo la stagione della contestazione del ’68, in proposte spinte dal passato e proiettate verso il futuro.           

                                               

La sua capacità di relazione di storia (verso il passato) e di vita (verso il futuro) sarebbe stata frammentaria, dispersiva, caotica, incapace di significato per sé e per gli altri, e perciò vana, se non fosse stata riferita al centro della sfera della sua personalità che è stato il nucleo teologico del Verbo Incarnato. L’umanesimo integrale di Pier Luigi Zampetti è derivato infatti dalla consapevolezza del collegamento dell’uomo, che non si è fatto da solo, con Dio che lo fatto e lo ha voluto a sua immagine e somiglianza nella conoscenza e nell’amore. Tale relazione è stata per lui principio di vita, vale a dire sintesi di pensiero e di azione, di ragione e di amore. Egli è stato “docente” nel senso più pregnante del termine: ha speso la sua vita a insegnare agli altri, soprattutto ai giovani e a coloro che hanno in mano i destini del genere umano, di saper pensare, di saper riflettere ma anche e soprattutto di sapersi spendere, di sapersi dare, con sacrificio di sé e con saper lavare i piedi al prossimo. Pertanto il patrimonio della sua vita, della sua sapienza e della sua dottrina può essere affrontato e penetrato egualmente da ogni versante conoscitivo ed attivo senza perdere in profondità di significato, in quanto una ricca e quasi illimitata relazionalità collega le sue parti facendole convergere, ed insieme nascere, nel punto della reductio ad unum. 

                                                              

Il suo punto di partenza non può meravigliare e tanto meno scandalizzare gli studiosi della modernità in tutti i suoi aspetti. Quando Proudhon ha dichiarato che, nel suo fondo, ogni problema della modernità è problema teologico, non ha fatto che evidenziare il punto di vista o di partenza dei più importanti esponenti della cultura del suo tempo, da Kant a Saint–Simon, da Mazzini a Hegel, da Schlegel a Rosmini, da Manzoni a Balbo. Il problema vero è un altro: si tratta di affrontarlo direttamente, secondo la “retta via” (“ortodossia” nel senso letterale del termine) che scaturisce dalla dialettica della mediazione teandrica o del Verbo Incarnato, oppure secondo il “rovesciamento della praxis, per usare un’espressione di Marx, che deriva dalla dialettica antitetica i cui principi, orientamenti, tecniche e finalità sono stati fissati da Hegel, partendo sempre dal cristianesimo (e come avrebbe potuto far diversamente? Tutto nella nostro mondo parla di Cristo), ma rovesciandolo? 

Così Pier Luigi Zampetti ha compiuto il suo percorso nella scienza e nell’amore dell’uomo in tutta la sua pienezza relazionale che scaturisce dalla dialettica del Verbo Incarnato. Essa, come ha la proprietà di collegare direttamente la scienza del Logos (la ragione di Dio) con la carità dell’Agape (l’amore di Dio), così anche, per corrispondenza biunivoca tra la Provvidenza creativa divina e la vita creaturale dell’uomo, ha la proprietà di collegare nella partecipazione, nel mutuo rispetto e nella pace la conoscenza e l’azione dell’uomo. E’ il percorso diritto della vita e della storia, nel quale un valore scoperto, proposto e realizzato è in grado di raggiungere il suo scopo senza convertirsi nel contrario. Per questo Pier Luigi Zampetti ha attraversato e perlustrato la modernità senza incappare nelle tentazioni di rovesciamento nelle quali sono incappate le ideologie della modernità. In tale rovesciamento si sono involuti, si sono convertiti nel loro contrario, sono state sconfitti e si sono dispersi, proprio nel momento che sembrava propizio alla loro realizzazione, i valori pur altamente positivi che sono stati scoperti (si pensi alla nazione, alla classe lavoratrice, alla libertà).

       

Pier Luigi Zampetti, con coerenza, ha ritenuto che, se si vuole parlare veramente di democrazia, devono sussistere alcune condizioni:  

 - i valori del cristianesimo sono irrinunciabili: non si dà infatti democrazia senza  collegamento tra governanti e governati, al servizio dei quali i primi sono posti, secondo il principio evangelico;

 - non si dà democrazia senza partecipazione, vale a dire senza concreta ed effettiva autogestione della società;

 - non si dà autogestione della società se la democrazia, e pertanto la partecipazione, sono soggette alla dialettica dell’antitesi che, costruita nella sua completezza da Hegel, costituisce una costante minaccia di rovesciamento.    

                    

Per costruire il modello della partecipazione, nonché per proporre la sua realizzazione, Pier Luigi Zampetti si è rifatto, naturalmente con adeguamento alle esigenze proposte dall’evoluzione storica, ai princìpi della dottrina sociale cristiana. L’accusa di indulgenza alla dottrina del corporativismo, e quindi alla dottrina sociale del fascismo, non ha fondamento, allo stesso modo che non ha fondamento logico la dialettica dell’antitesi che provoca il rovesciamento. Così la dottrina sociale del fascismo non può essere assimilabile alla dottrina della democrazia partecipativa perché ne rappresenta il rovesciamento. Allo stesso modo si rivela priva di fondamento e di significato l’accusa di collegamento della sua dottrina sulla comunità con la dottrina sulla Gemeinschaft proposta, o meglio impropriamente tentata, dal nazionalsocialismo. Anche in questo caso si tratta di un banale rovesciamento. La comunità proposta dal nazionalsocialismo è una monade senza porte e senza finestre, è particolare ad un solo popolo, non a caso definito secondo i criteri materialistici del razzismo, è ispirata dall’irrazionalità unita all’odio che ha come suo vettore lo schiavismo. Dappertutto, e in modo particolare nei suoi saggi su Kelsen, la comunità in Pier Luigi Zampetti viceversa è presentata come universale, possiede porte e finestre per aprirsi agli altri, è ispirata dalla ragione e dall’amore che hanno come vettore la libertà. 

                                                                       

Chiarito tutto ciò, la dottrina della partecipazione di Pier Luigi Zampetti, che sta diffondendosi in ambienti sempre più larghi, non solo risponde alle esigenze di pace che salgono in tutto il mondo, ma è anche il metodo coerente e sistematico di realizzare la democrazia dopo le crisi del nazional-imperialismo, del comunismo e della crociana religione della libertà. Queste correnti, che hanno attraversato e che in parte stanno ancora attraversando l’età contemporanea quali tentativi di sostituzione del cristianesimo con “religioni politiche”, si sono infatti presentate e si presentano tuttora contradditorie non solo nella loro autopresentazione, ma anche nella loro proprietà di rovesciare tutti i contenuti e tutti i valori, compresi, e soprattutto, quelli coltivati ex professo proprio dalle religioni politiche.            

E’ allora evidente che, quando si commemora la personalità di Pier Luigi Zampetti, si va ben oltre al compianto che amici ed estimatori gli tributano. Si affronta con lui, anche dopo il suo passaggio dal tempo all’eternità, la democrazia partecipativa, uno dei problemi vitali dell’oggi, che egli ha scavato ed approfondito con prospettive più coerenti, più feconde, più ampie, più articolate che non quelle attualmente in circolazione dell’uomo ad una dimensione. 

 

                                                                                            Danilo Veneruso

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